La Tuscia ha accolto nei secoli molti personaggi storici, recenti e lontani. Uno dei tratti peculiari della sua storia è la presenza delle famiglie nobili, che a lungo, nel Medioevo e nei primi secoli dell’Epoca Moderna, segnarono fortemente le vicende di questo territorio: dagli Orsini agli Anguillara, dai Della Rovere ai Farnese, soprattutto questi ultimi hanno lasciato, nel corso del Cinquecento, l’impronta più tangibile della loro presenza, promuovendo con un costante mecenatismo l’evoluzione artistica e culturale della Tuscia: Caprarola, Carbognano, Ronciglione, Viterbo, Nepi, Gradoli, Capodimonte, ecc…, per non parlare della stessa Farnese, che deve addirittura il suo nome a questo aristocratico casato, sono soltanto alcuni dei luoghi in cui la sua impronta è tuttora evidente. Un itinerario assai suggestivo è quello che porta alla visita dei monumenti dei Farnese: un viaggio irripetibile tra i capolavori del Rinascimento dell’Alto Lazio.
Se i Farnese restano in un ambito pubblico, con i loro sfarzi e i loro tesori d’arte, uno dei personaggi più venerati della Tuscia è sicuramente San Bonaventura. A Bagnoregio, ove questi nacque (nel 1221 circa), si trova una grotta in cui, secondo la tradizione, il piccolo Giovanni di Fidanza, futuro San Bonaventura, fu risanato da una malattia mortale da San Francesco, durante il suo soggiorno bagnorese. La madre di Giovanni, commossa dal miracolo, promise al Poverello d’Assisi che avrebbe consacrato la vita del proprio figlio al servizio di Dio. E così fu, tant’è che San Bonaventura (nome datogli dallo stesso San Francesco) scelse la veste francescana e si mise a diffondere tra i cristiani il messaggio caritatevole del suo maestro e guaritore. Costrettosi infine ad un rigido ascetismo, il Doctor seraphicus morì a soli 53 anni, nel 1274. Ancora oggi la grotta di San Bonaventura emana un fascino straordinario: posta a balcone sulla Valle dei Calanchi comunica perfettamente al visitatore la pace e l’amore insiti nel Creato.
Pochi sanno infine, che il Viterbese, grazie all’integrità del suo territorio e all’estrema varietà dei suoi paesaggi, è stato scelto da numerosi registi per le scene dei più disparati film: dal Monte Cimino al Lago di Vico, da Calcata a Civita di Bagnoregio, da Tuscania a Vulci, dal Lago di Bolsena al Monte Soratte, ripercorrere i luoghi scelti per pellicole talvolta divenute dei veri e propri cult (si pensi all’Armata Brancaleone, con Vittorio Gassmann), potrebbe essere davvero un’idea originale per trascorrere la Pasqua. Alla Tuscia Tiberina, in particolare, è legato il ricordo di uno degli intellettuali più interessanti e discussi dei nostri tempi, Pier Paolo Pasolini. Attratto dalla dolcezza e dalla solitudine delle campagne della Tuscia (che vedeva felicemente in contrasto con lo “sviluppo” ed il “progresso” caotici e disordinati dell’Italia del Dopoguerra), Pasolini si imbatté nella splendida e misconosciuta zona di Chia, ove giunse alla ricerca di una location adatta al suo film Il Vangelo secondo Matteo. Al termine delle riprese, innamoratosi del luogo, Pasolini acquistò e restaurò un castello diroccato nei pressi del piccolo borgo (la cosiddetta Torre di Chia, appunto), che divenne per lui una sorta di ultimo rifugio ove amava ritirarsi a scrivere, in quello che ebbe a definire il «paesaggio più bello del mondo».
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