Dettaglio attività GGP Investigazioni
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Descrizione dell'azienda |
L'istituto GGP INVESTIGAZIONI di Viterbo, Gruppo Giuseppe Pandolfi, opera, come investigatore privato, su tutto il territorio nazionale dal 2010, impiegando valide risorse tecnico- strumentali e personale altamente qualificato nonché costantemente aggiornato. L'Agenzia Investigativa offre una vasta gamma di servizi in risposta alle esigenze di Aziende ed Enti o privati cittadini nonché studi legali e servizi di sicurezza.
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Novità via RSS |
Stabile convivenza: esclude il diritto all'assegno divorzile?
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 Secondo la Cassazione civile sez. un., 05/11/2021, n.32198 l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto incide sul diritto al riconoscimento dell’assegno divorzile o alla sua revisione, soprattutto sulla quantificazione del suo ammontare.
In questo caso, però, la giurisprudenza non determina necessariamente la perdita automatica e integrale del diritto di cui sopra. Perciò come fare per accertare giudizialmente l’instaurazione di una stabile convivenza tra l’ex coniuge e il nuovo partner?
Affidati ai servizi di GGP Investigazioni
Il nostro servizio di investigatore privato, può avvalersi di foto e filmati attraverso attività di monitoraggio, per dimostrare la nuova convivenza da parte dell’ex coniuge con un terzo.
L’instaurazione di una stabile convivenza di fatto incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio. Pertanto, qualora sia giudizialmente accertata la convivenza di fatto, questa fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno a carico dell’altro coniuge, rescindendo ogni connessione con il modello di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale (Cassazione civile n. 2466/2016, n. 6855/2015).
Questa rappresenta una delle tante possibilità per cui un privato cittadino può avvalersi dei servizi di un investigatore privato al fine escludere tentativi di truffa o appropriazione indebita.
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Investigatore privato per controllare l'ex coniuge
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 Il comma 10 dell’art. 5 L. 898/1970 prevede che il diritto all’assegno di divorzio cessi con il passaggio dell’avente diritto a nuove nozze o a una convivenza di fatto, stabile e duratura con un terzo.
Poiché si presume che la disponibilità economica dei conviventi, composti dall’ex coniuge e dal nuovo partner, sia in comune nell’interesse del nuovo nucleo familiare, diventa fondamentale poter dimostrare la loro coabitazione al fine di procedere alla richiesta di revisione dell’assegno divorzile.
Ma come fare per raccogliere le prove della presunta convivenza?
GGP Investigazioni in questi casi può avvalersi di foto e filmati, attraverso attività di monitoraggio, per dimostrare la convivenza more uxorio dell’ex coniuge. Infatti, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione.
Cassazione civile n. 2466/2016, n. 6855/2015
"L’instaurazione da parte del coniuge di una nuova famiglia, ancorché di fatto, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno a carico dell’altro coniuge, rescindendo ogni connessione con il modello di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale; il relativo diritto rimane definitivamente escluso, essendo la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole”.
Questa è una delle possibilità per le quali un privato cittadino può avvalersi dei servizi di un investigatore privato al fine di controllare che non vi siano tentativi di truffa o appropriazione indebita da parte dell’ex coniuge.
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Controllare un dipendente con un investigatore privato
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 Le sentenze della cassazione ci aiutano a capire quando un datore di lavoro può rivolgersi ad un'agenzia investigativa privata per controllare un proprio dipendente.
La prestazione lavorativa da parte del dipendente, soggetto all’esclusivo potere di sorveglianza diretta del datore di lavoro ma, ad esempio, un investigatore privato può verificare se il lavoratore si allontana dal luogo di lavoro, in orario lavorativo, per compiti estranei al suo inquadramento professionale.
Cassazione civile sez. lav., 24/08/2022, n.25287
Il datore di lavoro non può svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio ma può procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato d'incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificare l’assenza.
Cassazione civile sez. lav., 17/06/2020, n.11697
L'agenzia investigativa in questi casi può avvalersi di foto e filmati per dimostrare che il dipendente abbia effettuato, ad esempio, dei lavori non compatibili con il suo stato di malattia.
Cassazione civile sez. lav., 21/09/2016, n.18507
Un altro ambito in cui è lecito avvalersi di un'investigazione privata è per verificare che dei compostamenti incidano sul patrimonio aziendale, come ad esempio il furto.
Cassazione civile sez. lav., 04/12/2014, n.25674
Queste sono solo alcune delle possibilità in cui un'azienda o un datore di lavoro possano avvalersi di un investigatore privato nel caso nutra dubbi sul comportamento di un proprio dipendente.
Per maggiori informazioni contattaci
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Un investigatore privato
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 Quanto costa un investigatore privato al giorno? Ti aiutiamo a scoprire e capire quali sono i fattori che concorrono a stabilire il prezzo di un’indagine investigativa.
Quanto costa un investigatore privato al giorno? Se stai rivolgendo a te stesso questa domanda, i casi sono due: potresti avere una semplice curiosità perché, con molta probabilità, lo hai visto in un programma, una fiction televisiva o hai sentito nominare da qualcuno questa professionalità, oppure potresti averne bisogno per il peso di un sospetto che ti dà spesso da pensare, per la necessità di acquisire con certezza delle informazioni che tardano ad arrivare.
Un investigatore privato può svolgere un’ampia varietà di indagini che abbiano come scopo le più differenti esigenze. Tra queste non vi è solo il classico rintraccio di prove dell’infedeltà coniugale, ma anche il ritrovare persone scomparse, il risalire alla situazione patrimoniale di un debitore insolvente, il controllo di un eventuale assenteismo sul posto di lavoro, il controspionaggio industriale. La tipologia di indagine concorre, insieme ad altri determinati fattori, a stabilire il costo dell’operazione giornaliera e, successivamente, di quella complessiva. In questo articolo, ti aiuteremo ad avere delle risposte, a capire quale possa essere il costo giornaliero per un servizio investigativo e quali siano i fattori che incidono a stabilirne il prezzo.
Cosa incide sul prezzo dell’investigazione
Quanto costa un investigatore privato al giorno? Certamente, non può esistere un prezzo fisso e universale, comune a tutte le agenzie, perché ogni investigazione ha le sue personali caratteristiche. Esistono principalmente alcuni fattori che concorrono alla stima del prezzo di un’investigazione privata. Questi sono:
- la complessità dell’indagine;
- il numero di ore necessarie allo svolgimento delle ricerche;
- le risorse utili al reperimento di ciascuna prova utile;
- il numero degli operatori coinvolti nel processo investigativo;
- il numero dei veicoli eventualmente utilizzati per assolvere i compiti investigativi.
Per capire quanto costa un investigatore privato al giorno, è necessario poi effettuare una distinzione dei casi a cui è associato un prezzo netto da quelli che, al contrario, richiedono una consulenza maggiormente specifica.
Prevalentemente, le indagini si suddividono in due categorie principali:
- le investigazioni aziendali e private, le cui attività sono per lo più costituite da pedinamenti e da uno studio sulle abitudini del soggetto indagato;
- le investigazioni patrimoniali, le cui attività sono di tipo documentale come, ad esempio, il rintraccio di conti correnti e movimenti bancari, eredi, beni intestati;
Certamente, più si richiederanno approfondimenti, materiale da visionare, documentazione, più aumenteranno orari e giornate lavorative per l’investigatore privato, per cui i prezzi saliranno.
I costi e la legge
Per legge, è dovere di ogni agenzia investigativa esporre ben in vista nel proprio studio di lavoro una tabella con indicati i costi orari minimi e massimi di un investigatore privato. Si tratta di un tariffario che deve essere autorizzato dalla Prefettura regionale di competenza, quindi, fornirti indicazioni su quanto costa un investigatore privato al giorno, in linea generale.
Solitamente, si parla di tariffe orarie a persona, con un costo variabile tra le € 30,00 e le € 90,00 da cui sono escluse l’Iva e le spese. Nello specifico, le ricerche investigative in ambito privato, aziendale e assicurativo partono da una cifra oraria minima di € 30,00.
Conoscere i costi con certezza
Come puoi essere esattamente certo di quanto costa un investigatore privato al giorno? Ti ho dato tutte le informazioni indicative, ma se vuoi essere certo di tutti i costi inerenti ad un servizio investigativo, non devi fare altro che rivolgerti a un’agenzia investigativa certificata per un colloquio preliminare. Questo, in genere, sarà gratuito e durante l’incontro ti sarà spiegato, dettagliatamente, come si svolgeranno le indagini, con quali strumenti e strategie e, infine, ti verrà consegnato un preventivo dei costi.
Contattaci per un colloquio preliminare gratuito e senza impegno.
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Permessi sindacali: abusi
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 Così come i lavoratori hanno diritto di svolgere attività di proselitismo all’interno dell’azienda in favore della propria organizzazione sindacale, a maggior ragione tale possibilità è riconosciuta ai dirigenti delle RSA e ai componenti delle RSU, in ragione del loro ruolo. Ad essi, per di più, la legge riconosce degli specifici permessi dal lavoro (retribuiti e non) per svolgere serenamente le proprie funzioni. Si tratta di una protezione speciale della quale, però, non si può abusare. Una recente sentenza della Cassazione interviene proprio sul delicato argomento dell’abuso dei permessi sindacali e – come già detto con riferimento ai permessi previsti dalla legge 104 per chi ha un familiare disabile da assistere – avverte a chiare lettere: è licenziabile il dirigente sindacale che prende il permesso ma poi non va alla riunione e svolge attività personale.
Vediamo meglio quali sono i fondamenti di questa decisione, quali sono i permessi sindacali e quali strumenti ha il datore di lavoro per controllare l’impiego di tali giorni di riposo da parte del personale.
Permessi sindacali per dirigenti RSA e componenti RSU
Dirigenti di RSA e componenti di RSU godono di speciali permessi retribuiti e non, al fine di agevolarli nell’espletamento delle loro attività sindacali da svolgere sia all’interno che all’esterno dell’azienda. Il numero dei dirigenti beneficiari, il tipo e l’entità dei permessi sono stabiliti dalla legge, a seconda della consistenza numerica della categoria di cui la rappresentanza sindacale è espressione nell’unità produttiva.
Ad esempio, in caso di unità produttiva con non più di 200 dipendenti, il dirigente della RSA ha diritto a un’ora all’anno per ciascun dipendente e non meno di 8 giorni all’anno. Da 2001 a 3.000 dipendenti ci sono 8 ore mensili. Il Ccnl può prevedere una misura superiore dei permessi.
Per ottenere i permessi retribuiti non c’è bisogno dell’autorizzazione del datore di lavoro il quale deve solo prendere atto della segnalazione del sindacalista. Questi deve darne comunicazione scritta al datore con un preavviso non inferiore a 24 ore. Solo se c’è urgenza è possibile un preavviso minore.
Permessi per dirigenti sindacali
Altri permessi sono riconosciuti ai lavoratori che hanno una carica negli organi direttivi provinciali e nazionali delle associazioni sindacali firmatarie di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva; anche questi hanno diritto a permessi retribuiti per la partecipazione a riunioni degli organi cui fanno parte.
Il numero di permessi spettanti e le modalità di esercizio del diritto sono stabiliti dai Ccnl.
Tale diritto trova fondamento nello stesso Statuto dei lavoratori.
Controlli sull’uso dei permessi sindacali
Il datore di lavoro non può sindacare il tipo di attività e l’utilità della stessa che il sindacalista compie durante i giorni dei permessi retribuiti. Può tuttavia contestare l’uso di tali permessi se vengono utilizzati per fini diversi da quelli per i quali è stata formulata la richiesta.
Abuso dei permessi sindacali
Non resta che verificare che succede in caso di abuso dei permessi sindacali. Per la Cassazione, il dirigente sindacale che prende il permesso ma poi non va alla riunione può essere licenziato in tronco. E ciò perché le giornate retribuite previste dallo Statuto dei lavoratori possono essere destinate soltanto alla partecipazione degli attivi provinciali o nazionali.
Il datore ben può controllare la presenza del dipendente alla seduta dell’organismo: in caso di contestazione, dunque, il lavoratore deve dimostrare il suo diritto ad assentarsi dal servizio e se non ci riesce la mancanza della prestazione risulta imputabile a lui.
Non è possibile chiedere i giorni di permesso, ad esempio, per studiare la normativa fiscale, fornire assistenza per pratiche contributive e prepararsi il discorso in vista di elezioni sindacali. Difatti – sottolinea la Corte – l’uso dei permessi per finalità diverse dalla partecipazione agli attivi legittima il datore a non retribuire le giornate in questione. In più pesa la bugia detta all’azienda, la mancanza di fedeltà che – come in tutti gli altri casi di permessi retribuiti utilizzati per scopi diversi da quelli per i quali sono previsti dalla legge – fa scattare la sanzione del licenziamento.
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Infedeltà
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 Il tradimento del marito o della moglie: le conseguenze dell’addebito e le sanzioni per l’adulterio. Cosa prevede la legge per le coppie sposate e per quelle di fatto.
Non è un reato, ma solo un illecito civile da cui scaturisce una sola sanzione: quella dell’addebito. È l’infedeltà coniugale o, per dirla con parole comuni, il tradimento. Dal punto di vista pratico, l’adulterio ha scarse conseguenze quando è posto da un uomo che guadagna più della donna, mentre ha riflessi pregiudizievoli se è quest’ultima a tradire. Difatti, l’effetto più rilevante dell’infedeltà è la perdita del diritto al mantenimento. Ne consegue che laddove il marito sia comunque tenuto, in ragione del proprio reddito elevato, a versare gli alimenti alla moglie, con o senza addebito per lui le cose non cambiano: dovrà comunque far fronte ai suoi doveri economici. Invece la moglie adultera ma disoccupata o con uno stipendio minimo non potrà mai reclamare il mantenimento proprio a causa della sua condotta colpevole. Di tutto ciò parleremo nel seguente articolo. Dopo aver spiegato cos’è la cosiddetta infedeltà coniugale, illustreremo quali sono le conseguenze per chi tradisce, quali le sanzioni e le tutele legali per chi è stato tradito. Si pensa spesso, ed a torto, che chi tradisce perde il diritto a vedere i figli: non è così perché un marito traditore può essere un ottimo padre. Affronteremo anche questo delicato tema. Quali sono le ripercussioni sulla casa coniugale quando uno dei due coniugi ha una tresca con un’altra persona? È possibile denunciare l’amante del coniuge che viene segretamente accolto in casa propria? Ecco le risposte alle tue legittime domande.
Infedeltà coniugale: cos’è?
Quando si parla di infedeltà coniugale ci si riferisce naturalmente alle coppie sposate. L’infedeltà è invece lecita (o quantomeno non produttiva di alcun effetto) per le coppie legate da un’unione civile (quelle cioè tra omosessuali) o per le famiglie di fatto, benché abbiano firmato un contratto di convivenza.
Non c’è bisogno di spiegare cos’è l’infedeltà: tutti sappiamo che si tratta di un tradimento, di una relazione intrattenuta con un’altra persona, sia questa dell’altro sesso o del proprio. C’è quindi infedeltà anche da parte del marito che sta con un uomo o della moglie che sta con una donna.
Quando si parla di infedeltà non ci si riferisce solo al tradimento sessuale, ma anche a quello affettivo e intellettuale. Numerose sentenze hanno infatti condannato il rapporto platonico su internet quando, dalla conversazione e dai messaggi intrattenuti dai soggetti in questione, possa evincersi un rapporto affettivo. E ciò sulla base della fin troppo scontata considerazione che ciò costituisce una mortificazione per l’altro coniuge. Non è infedeltà, chiaramente, la semplice amicizia intrattenuta su una chat, ma un messaggio compromettente è sufficiente – come vedremo – a denunciare la relazione adulterina, a prescindere dalle prove dell’effettivo contatto fisico.
Come è facile intuire è tradimento tanto quello di una sola ora quanto una relazione stabile.
Dire al coniuge «Non ti amo più» non costituisce tradimento, né causa di addebito. Nel tempo si può perdere il legame affettivo che univa al marito o alla moglie; ciò non è considerato una colpa e non produce né sanzioni, né effetti.
Allo stesso modo, dire al coniuge «Mi piace un’altra persona» non costituisce tradimento, a meno che non ci sia la prova che con quest’ultima sia stato intrattenuto un rapporto affettivo sia pure non fisico. Il fatto di guardare con desiderio tutti i giorni un altro soggetto infatti non rientra ancora nell’infedeltà coniugale e non comporta l’addebito.
Infedeltà: quali conseguenze giuridiche?
Dal punto di vista giuridico (ma vedremo che, sotto l’aspetto pratico, le cose cambiano), l’infedeltà coniugale ha una sola conseguenza: il coniuge che è stato tradito può chiedere la separazione con addebito a carico di quello infedele. “Addebito” significa “imputazione di responsabilità”: in pratica il giudice dichiara ufficialmente che la colpa per la fine del matrimonio è del coniuge infedele.
Questo accertamento conduce a due conseguenze legali:
chi è stato infedele non può chiedere, per sé, l’assegno di mantenimento. Quindi, ad esempio, la moglie che ha avuto una storia, anche se disoccupata non può chiedere l’assegno mensile. Solo se le sue condizioni economiche dovessero risultare disperate e comportare un serio rischio di sopravvivenza, potrebbe tutt’al più chiedere gli “alimenti”, un importo di gran lunga inferiore al mantenimento e necessario solo a quanto necessario per non morire di fame;
se, dopo la separazione, uno dei due coniugi dovesse morire, la regola vuole che l’altro acquisisca i diritti successori, è cioè suo erede (questo diritto si perde solo dopo il divorzio). Ciò però non vale per chi è stato infedele. Il coniuge che ha tradito e che ha subito l’addebito non può infatti vantare alcuna quota sul patrimonio dell’ex defunto di cui, quindi, non sarà mai erede.
Infedeltà: quali conseguenze pratiche?
Da un punto di vista pratico le conseguenze per l’infedeltà coniugale non sono così rilevanti. Per quanto infatti riguarda l’aspetto successorio, non è così frequente che una persona muoia nel breve lasso di tempo che va tra la separazione e il divorzio (6 mesi in caso di separazione consensuale; 1 anno in caso di separazione giudiziale).
Dall’altro lato, la perdita del diritto al mantenimento rileva solo quando l’infedele ha un reddito più basso. Quest’ultimo aspetto merita di essere approfondito. Lo faremo ricorrendo ad alcuni esempi pratici.
Mario, con un reddito di 2mila euro al mese, è sposato con Maria la quale ha invece uno stipendio di 500 euro al mese. Mario e Maria si separano per incompatibilità caratteriali. Nessuno dei due, dunque, subisce l’addebito. Mario dovrà versare a Maria un mantenimento di circa 300 euro al mese.
Se dovesse risultare che Mario ha tradito Maria, il primo subirebbe l’addebito. Tuttavia per lui non ci sarebbe alcuna ulteriore conseguenza atteso che, comunque, resta tenuto al mantenimento in ragione del suo reddito superiore. Il mantenimento non è infatti una sanzione per aver tenuto un comportamento colpevole ma solo una misura assistenziale in favore di chi è economicamente più debole. Anche se Mario fosse stato disoccupato o con un reddito inferiore a Maria, l’impugnazione dell’addebito per tradimento non avrebbe comportato, per lui, l’obbligo di versare il mantenimento all’ex moglie.
Diversa è la soluzione nel caso in cui sia Maria a tradire Mario. Come detto, l’addebito implica solo la perdita del diritto al mantenimento. In questo caso, dunque, la moglie non potrà chiedere l’assegno, anche se nullatenente. Questo però vale solo per il mantenimento a lei diretto; se invece la coppia ha avuto dei figli, Mario resterà comunque tenuto a mantenere i minori o i maggiorenni non ancora autosufficienti sul piano economico.
Ecco perché, a volte, la battaglia giudiziaria per l’addebito ha scarse conseguenze pratiche ed è sciocco far saltare un accordo per una separazione consensuale che potrebbe avvenire senza grossi oneri economici e dispendio di tempo.
Infedeltà: posso chiedere il risarcimento del danno?
Solo raramente i giudici hanno riconosciuto, in caso di infedeltà coniugale, oltre all’addebito anche il diritto al risarcimento del danno. Ciò scatta non quando il coniuge tradito abbia subito uno “scossone psicologico”, la depressione per il fallimento del matrimonio e un dolore interiore. Si ha diritto al risarcimento solo allorché le modalità del tradimento hanno leso la reputazione del coniuge tradito. Si tratta, insomma, di una misura rivolta solo a tutelare l’immagine pubblica della “vittima”. Si pensi all’ipotesi in cui Maria tradisce Mario con il suo migliore amico e tutta la cittadinanza o gli amici lo sanno. O quando Mario esce con la propria segretaria, con cui ha una relazione, incurante del fatto che la gente mormori alle spalle di Maria.
Come dimostrare il tradimento
Per far scattare l’addebito per il tradimento non è necessaria la prova di una relazione fisica o stabile. Bastano i semplici indizi che siano indicativi di una relazione affettiva o di un’attrazione fisica. Quindi il messaggio lasciato su una chat, con apprezzamenti e inviti a un rapporto sessuale, sono sufficienti a far scattare l’addebito anche se non viene dimostrato un incontro effettivo tra i due amanti segreti. Lo stesso dicasi per lo scambio di immagini provocanti.
Leggi Infedeltà: quali prove.
Si fa sempre più ricorso agli investigatori privati. I loro report non sono però una prova. Lo possono essere le fotografie scattate dal detective; queste ultime però perdono la loro valenza di prova documentale se contestate dalla controparte. A tal riguardo, la contestazione non può essere generica ma deve spiegare per quali motivi la foto non è attendibile; ad esempio si può eccepire che la foto si riferisce a un episodio risalente nel tempo oppure che l’identità dei volti non è chiara e i soggetti non riconoscibili.
Email ed sms sono ormai entrati anche nel processo civile. Ma sottrarre con la forza o con l’inganno il cellulare al proprio coniuge che lo ha tenuto riservato e non lo ha lasciato sul tavolo o sul divano costituisce un reato: quello di violazione della privacy.
Allo stesso modo è illegittimo lasciare un registratore acceso in casa prima di uscire: l’interferenza nella vita privata altrui è punito ai sensi del codice penale.
Le ammissioni di responsabilità sono di certo la prova “principe” dell’infedeltà, ammissioni che possono essere dichiarate a voce, ma registrate all’insaputa dell’ex; difatti le registrazioni di conversazioni tra coniugi, anche avvenute a casa propria, sono legali.
Come difendersi da una accusa di tradimento?
L’unico modo per difendersi da un’accusa di tradimento è quello di dimostrare che la coppia era già in precedenza in crisi e che l’infedeltà coniugale non è stata la causa della rottura bensì l’effetto di una situazione già conclamata. Difatti, l’addebito scatta solo per quelle condotte che provocano la separazione e non per tutte le altre. Ad esempio, se Mario e Maria non si parlano già da diversi mesi, litigano in continuazione e non hanno più rapporti sessuali, l’eventuale tradimento di Mario non implicherà l’addebito. Spetta però a Mario dimostrare che il matrimonio era già in frantumi prima del tradimento.
fonte: https://www.laleggepertutti.it/246931_linfedelta-coniugale
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Assegno di mantenimento del coniuge:
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 L’assegno di mantenimento, infatti, può mutare nel tempo al mutare delle condizioni di vita dei coniugi, sempre e soltanto in conseguenza del provvedimento del giudice, così come può essere revocato e, quindi, non più dovuto.
Innanzitutto, l’obbligo al mantenimento può cessare perché il coniuge cui l’assegno deve essere corrisposto vi rinunzia. Ciò può accadere per diversi motivi: ad esempio perché non si vuole pretendere nulla dall’ex coniuge o per dare risalto a quella pur insufficiente indipendenza economica che con impegno si è raggiunta. Fatto sta che alla rinunzia in costanza di separazione, però, non consegue l’esclusione automatica dall’assegno in sede di divorzio, e anche alla rinunzia in sede di divorzio non consegue l’immodificabilità, in seguito, delle statuizioni operate dal giudice.
In secondo luogo, in caso di morte del coniuge obbligato al mantenimento, l’altro coniuge cessa di averne diritto. Quest’ultimo, però, può avanzare la pretesa di una quota dell’eredità, il cui importo dovrà essere tendenzialmente proporzionale all’importo dell’assegno di mantenimento, ma sarà sempre mitigato ad esempio dalle condizioni degli altri eredi, nonché dalla somma che il coniuge ha percepito a titolo di mantenimento in precedenza. In ogni caso gli eredi non saranno tenuti a versare altri assegni mensili poiché il mantenimento è un dovere di tipo strettamente personale, ossia non può ricadere sugli eredi.
Ancora, quando il coniuge che ha diritto all’assegno di mantenimento forma un nuovo nucleo familiare con un’altra persona, convolando a nuove nozze, viene ad estinguersi anche il diritto al mantenimento, poiché in tal modo il coniuge ha reciso ogni legame con il precedente matrimonio che potesse legittimare l’obbligo al mantenimento. Anche semplicemente iniziando una convivenza, grazie alla quale il problema dell’incapacità di autosostenersi viene superato con l’apporto di un nuovo reddito da parte del nuovo partner, possono verificarsi i presupposti per una modifica o revoca dell’assegno di mantenimento, in conseguenza del ricalcolo della situazione economica del coniuge che richiede il mantenimento, che risulterà senza dubbio diversa, ma, in costanza di separazione, bisognerà valutare se la modifica delle sue condizioni economiche è sufficiente a mantenere un tenore di vita analogo a quello precedente oppure no. Di contro, invece, la creazione di un nuovo nucleo familiare da parte del coniuge obbligato a versare il mantenimento non sarà causa di cessazione dell’obbligo, ma al più potrà divenire causa di un mutamento dell’importo dell’assegno in ragione del fatto che l’aver creato un nuovo nucleo familiare può importare un peggioramento delle condizioni economiche, nel caso in cui ad esempio egli debba provvedere anche ai bisogni del nuovo partner e degli eventuali nuovi nati.
A prescindere dalla formazione di un nuovo nucleo familiare, come hai potuto vedere la cessazione dell’obbligo di corrispondere il mantenimento deriva principalmente da un mutamento delle condizioni economiche, che può derivare da diversi fattori. Ad esempio il coniuge economicamente debole perché disoccupato è riuscito a trovare lavoro, raggiungendo un tenore di vita analogo a quello del matrimonio. Ciò sarebbe motivo di cessazione in sede di separazione, mentre in sede di divorzio basterebbe l’aver raggiunto l’indipendenza economica, ovvero la capacità di mantenersi da sé
. Non solo un nuovo impiego, ma anche ad esempio una cospicua eredità può mutare le condizioni economiche del coniuge debole, consentendogli di godere di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ma ovviamente ciò non vale per un’eredità di poco conto.
Infine, non devi dimenticare che l’addebito della separazione impedisce al coniuge richiedente il mantenimento di ottenerlo. Ciò comporta che, laddove l’assegno di mantenimento fosse già stato stabilito e il corrispettivo obbligo fosse già esistente, l’addebito della separazione al coniuge che ne aveva diritto estingue l’obbligo al mantenimento precedentemente stabilito.
Non avviene però il contrario: l’addebito della separazione al coniuge tenuto a corrispondere il mantenimento non lo fa cessare. Perciò, se sei in procinto di separarti o di richiedere il mantenimento, ti conviene comportarti con cautela.
Come puoi vedere, infatti, la materia del mantenimento è fatta di numerosi contrappesi studiati per riportare sempre l’equilibrio laddove sia venuto a mancare.
Fonte: https://www.laleggepertutti.it/249007_assegno-di-mantenimento-del-coniuge-quando-cessa
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Il tradimento del marito o della moglie.
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 Infedeltà: quali conseguenze?
Da un punto di vista pratico le conseguenze per l’infedeltà coniugale non sono così rilevanti. Per quanto infatti riguarda l’aspetto successorio, non è così frequente che una persona muoia nel breve lasso di tempo che va tra la separazione e il divorzio (6 mesi in caso di separazione consensuale; 1 anno in caso di separazione giudiziale).
Dall’altro lato, la perdita del diritto al mantenimento rileva solo quando l’infedele ha un reddito più basso. Quest’ultimo aspetto merita di essere approfondito. Lo faremo ricorrendo ad alcuni esempi pratici.
Mario, con un reddito di 2mila euro al mese, è sposato con Maria la quale ha invece uno stipendio di 500 euro al mese. Mario e Maria si separano per incompatibilità caratteriali. Nessuno dei due, dunque, subisce l’addebito. Mario dovrà versare a Maria un mantenimento di circa 300 euro al mese.
Se dovesse risultare che Mario ha tradito Maria, il primo subirebbe l’addebito. Tuttavia per lui non ci sarebbe alcuna ulteriore conseguenza atteso che, comunque, resta tenuto al mantenimento in ragione del suo reddito superiore. Il mantenimento non è infatti una sanzione per aver tenuto un comportamento colpevole ma solo una misura assistenziale in favore di chi è economicamente più debole. Anche se Mario fosse stato disoccupato o con un reddito inferiore a Maria, l’impugnazione dell’addebito per tradimento non avrebbe comportato, per lui, l’obbligo di versare il mantenimento all’ex moglie.
Diversa è la soluzione nel caso in cui sia Maria a tradire Mario. Come detto, l’addebito implica solo la perdita del diritto al mantenimento. In questo caso, dunque, la moglie non potrà chiedere l’assegno, anche se nullatenente. Questo però vale solo per il mantenimento a lei diretto; se invece la coppia ha avuto dei figli, Mario resterà comunque tenuto a mantenere i minori o i maggiorenni non ancora autosufficienti sul piano economico.
Infedeltà: posso chiedere il risarcimento del danno?
Solo raramente i giudici hanno riconosciuto, in caso di infedeltà coniugale, oltre all’addebito anche il diritto al risarcimento del danno. Ciò scatta non quando il coniuge tradito abbia subito uno “scossone psicologico”, la depressione per il fallimento del matrimonio e un dolore interiore. Si ha diritto al risarcimento solo allorché le modalità del tradimento hanno leso la reputazione del coniuge tradito. Si tratta, insomma, di una misura rivolta solo a tutelare l’immagine pubblica della “vittima”. Si pensi all’ipotesi in cui Maria tradisce Mario con il suo migliore amico e tutta la cittadinanza o gli amici lo sanno. O quando Mario esce con la propria segretaria, con cui ha una relazione, incurante del fatto che la gente mormori alle spalle di Maria.
Come dimostrare il tradimento
Per far scattare l’addebito per il tradimento non è necessaria la prova di una relazione fisica o stabile. Bastano i semplici indizi che siano indicativi di una relazione affettiva o di un’attrazione fisica. Quindi il messaggio lasciato su una chat, con apprezzamenti e inviti a un rapporto sessuale, sono sufficienti a far scattare l’addebito anche se non viene dimostrato un incontro effettivo tra i due amanti segreti. Lo stesso dicasi per lo scambio di immagini provocanti.
Si fa sempre più ricorso agli investigatori privati. I loro report non sono però una prova. Lo possono essere le fotografie scattate dal detective.
Fonte: https://www.laleggepertutti.it/246931_linfedelta-coniugale
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Investigatore privato per controllare i dipendenti?
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 Il controllo del corretto svolgimento della prestazione lavorativa dentro e fuori i locali aziendali è vietato.
I casi di controllo del dipendente per lavoro presso altre aziende in concorrenza, controllo dei permessi per malattia o fruizione della legge 104/92 sono leciti perché non riguardano lo svolgimento della prestazione lavorativa.
Recentemente la Corte di Cassazione (Cass. Ordinanza 15094 del 11.06.2018) ha precisato che resta giustificato il controllo occulto sull'esecuzione della attività lavorativa vera e propria, tramite l'impiego di investigatori privati, in caso di motivato sospetto che il lavoratore stia commettendo un reato (ogni comportamento del dipendente che configuri ipotesi penalmente rilevanti).
Inoltre, è necessario procedere all'acquisizione di dati, informazioni e prove nel rispetto della normativa vigente per evitare l'eventuale illegittimità del licenziamento (affidarsi ai professionisti di settore).
La risposta, quindi, è sì; ma occorre precisare che le cause per legittimare questa soluzione dovranno essere "ipotesi penalmente rilevanti", altrimenti le prove raccolte saranno ritenute illegittime ai fini di un possibile licenziamento.
Infatti, qualora sia trovato qualche vizio di forma effettuato dal datore di lavoro, Il lavoratore potrebbe richiedere il reintegro sul posto di lavoro.
Affidati a noi per verificare se la tua fiducia è mal riposta e riprenditi il rispetto dovuto alla tua azienda.
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Difendere la reputazione della tua azienda
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 Difendere la reputazione della mia azienda, è possibile?
La personal reputation di un’azienda è molto importante poiché questa impatta direttamente sulla percezione che i clienti hanno di essa.
Sono molteplici i fattori che ne determinano la bontà: qualità del prodotto servizio, qualità percepita dai consumatori, rete di distribuzione, ecc.
Tra questi fattori primari ce ne sono altri estremamente importanti, monitorabili e in caso risolvibili, a cui spesso non si presta attenzione: "Cosa dicono i dipendenti dell’azienda dove lavorano?", "C’è una notizia denigratoria sulla mia azienda?"
Non lasciare la reputazione del tuo brand in mano ad altri.
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